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COVO Collections 2011

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Tornano le “cose non comuni” di COVO ad arricchire il “dizionario” del design. Oggetti semplici e sapienti, fatti di pochi segni ma capaci di restare nella memoria. Nella satura condizione contemporanea, siamo sempre più circondati da un mondo di “cose”. Cose concrete e cose astratte, cose reali e immaginarie, cose sacre e cose profane, cose che servono e che non servono, cose buone e cose cattive. Il Design si occupa di queste cose e può farlo in molti modi: ripensando, inventando, copiando, rivestendo, giocando o prendendosi sul serio. Oppure, come cerca di fare COVO, osservando.

Osservando il mondo di “cose” che ci circonda e provando a immaginare nuove presenze che vadano a prendere posto negli spazi vuoti della nostra immaginazione. Oggetti nati dunque dall’attenta esplorazione del paesaggio materiale, pensando al nostro mondo come ad un foglio pieno di segni che troppo spesso si confondono, perdendo ogni loro significato …

E come succede nei disegni dei bambini, o nei graffiti preistorici (infanzia stessa dell’umanità), dove poche linee descrivono mondi e storie, le “cose non comuni” di COVO provano a regalare semplicità, cancellando la confusione e riportando i significati all’emozione più che alla ragione. E dunque ecco che tra attaccapanni come rami, tavoli come siepi, sedute come prati in fiore, ma anche poltrone che abbracciano, lampade “magiche” che crescono, portafoto come fili tesi al vento e cristalli morbidi, il nostro mondo di “cose” diventa un mondo di “segni”. Semplici “segni”, in bianco e nero o a colori, che come codici emozionali riempiono il foglio bianco dei nostri spazi. E le “cose non comuni” di COVO sono oggetti autonomi, capaci di relazionarsi con tutti i nostri paesaggi, ma sono anche frasi di uno stesso racconto, il racconto di COVO.